Per duemila anni il cristianesimo ci ha raccontato la storiella del peccato originale come una parabola morale sulla disobbedienza. Adamo ed Eva, innocenti nel Giardino, cedono alla tentazione del serpente, mangiano il frutto proibito, e precipitano l'umanità nel peccato. Dio li punisce, li caccia dal Paradiso, e da quel momento tutti nasciamo macchiati da quella colpa primordiale.
Ma se togliamo i filtri teologici e leggiamo il testo di Genesi 2-3 con occhi nuovi, emerge una storia completamente diversa. Una storia che parla di modificazione genetica, di consapevolezza sessuale acquisita, di una specie che passa dall'essere uno strumento controllato a diventare autonoma. Una storia dove il serpente non è il cattivo ma il liberatore, e dove gli Elohim non puniscono per vendetta morale ma per paura di perdere il controllo sui loro esperimenti biologici.
Questa non è eresia moderna. È quello che il testo ebraico dice letteralmente, se lo leggiamo senza sovrapporvi duemila anni di interpretazioni dogmatiche. Ed è esattamente quello che Sitchin, Biglino e altri ricercatori hanno evidenziato: il racconto dell'Eden non è una favola morale, è la documentazione di un evento reale che ha cambiato la natura biologica dell'umanità.
Il racconto tradizionale non regge.
Rileggiamo Genesi 2-3 come se fosse la prima volta, prestando attenzione ai dettagli che normalmente vengono glissati o spiritualizzati.
Dio (Elohim, plurale) crea l'uomo dalla polvere della terra e lo pone nel giardino di Eden "perché lo coltivasse e lo custodisse". Già qui c'è un problema: perché un Dio onnipotente ha bisogno di un giardiniere? Ma proseguiamo.
Nel giardino ci sono due alberi speciali: l'Albero della Vita e l'Albero della Conoscenza del Bene e del Male. Dio dice all'uomo: "Dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire" (Genesi 2:17).
Notate: non è una questione morale astratta. È un'istruzione operativa specifica. "Non toccare questo, è pericoloso per te". Come dire a un bambino "non mettere le dita nella presa elettrica". È un warning pratico, non un comandamento morale.
Poi viene creata Eva, dalla "costola" di Adamo. Entrambi sono nudi ma non se ne vergognano. Questo dettaglio è cruciale e ci torneremo.
Entra in scena il serpente (nahash in ebraico), descritto come "il più astuto di tutti gli animali selvatici che Yahweh Elohim aveva fatto". Il serpente dice a Eva: "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come Dio, conoscendo il bene e il male" (Genesi 3:4-5).
Eva mangia, dà il frutto ad Adamo, lui mangia. E cosa succede? "Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture" (Genesi 3:7).
Non cadono morti. Non succede nessuna catastrofe. Semplicemente diventano consapevoli della loro nudità. Questo è il grande cambiamento: la consapevolezza.
Dettaglio cruciale...Dio aveva mentito, perché?
Quando Dio li trova, chiede ad Adamo come ha saputo di essere nudo. Adamo spiega. Dio capisce immediatamente cosa è successo e dice: "Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva per sempre!" (Genesi 3:22).
Fermiamoci qui. Dio ha paura. "Come uno di noi" - di nuovo il plurale, gli Elohim sono molteplici. E hanno paura che l'uomo acceda anche all'altro albero. Quindi lo cacciano dal giardino e mettono cherubini armati a guardia dell'Albero della Vita.
Se questa è una parabola morale sulla disobbedienza, è una parabola molto strana. Il serpente aveva ragione: non sono morti. Sono diventati "come dèi". E Dio reagisce non con dispiacere morale ma con timore pratico: bisogna impedire loro di accedere all'altra tecnologia.
Cosa significa davvero "conoscere" in ebraico
La chiave per decifrare questo racconto sta nel termine ebraico "da'at", tradotto come "conoscenza". Nel pensiero ebraico antico, conoscere non è un'attività intellettuale astratta. È esperienza diretta, intima, spesso carnale.
Il verbo "yada" (conoscere) è usato costantemente nella Bibbia per descrivere l'atto sessuale. "Adamo conobbe Eva sua moglie, ed ella concepì" (Genesi 4:1). "L'uomo non aveva conosciuto sua moglie" significa che non aveva avuto rapporti sessuali con lei. Questo uso è così frequente che non può essere ignorato.
Quando il testo dice che mangiando il frutto avrebbero acquisito la "conoscenza del bene e del male", cosa sta davvero dicendo? In ebraico, l'espressione "tov va-ra" (bene e male) è un merismo, una figura retorica che indica la totalità attraverso gli opposti. Come quando diciamo "giorno e notte" per dire "sempre", o "cielo e terra" per dire "tutto".
"Conoscere il bene e il male" significa quindi "conoscere tutto", avere esperienza completa della realtà. E nel contesto del racconto, dove il cambiamento principale è la consapevolezza della nudità e della sessualità, questa "conoscenza totale" ha un significato molto specifico: la maturità sessuale, la capacità riproduttiva, la consapevolezza di essere esseri sessuati.
Mauro Biglino, nella sua analisi letterale dell'ebraico biblico, sottolinea ripetutamente questo punto. Il testo non sta parlando di una conoscenza morale astratta del giusto e dello sbagliato. Sta parlando di una trasformazione fisica e cognitiva che ha reso gli esseri umani sessualmente maturi e consapevoli.
Prima di mangiare il frutto, Adamo ed Eva erano "nudi ma non se ne vergognavano". Non perché fossero moralmente puri, ma perché non avevano la consapevolezza cognitiva della loro sessualità. Erano come bambini prepuberi: tecnicamente hanno organi sessuali ma non ne hanno consapevolezza o imbarazzo.
Dopo il frutto, improvvisamente capiscono. Vedono la propria nudità e quella dell'altro con occhi nuovi. Provano imbarazzo, vergogna, desiderio. È la pubertà. È l'attivazione sessuale. È il momento in cui un essere diventa capace di riprodursi e consapevole di questa capacità.
Il testo insiste sulla nudità in modo quasi ossessivo. Prima del frutto: "erano entrambi nudi, ma non ne provavano vergogna". Dopo il frutto: "si accorsero di essere nudi e si fecero delle cinture". Quando Dio li chiama, Adamo risponde: "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto".
Perché questa ossessione con la nudità? Perché è il sintomo visibile del cambiamento interno. La nudità non è cambiata, è sempre stata lì. Ciò che è cambiato è la percezione, la consapevolezza, il significato che quella nudità ha acquisito.
Nella psicologia dello sviluppo, il momento in cui i bambini sviluppano consapevolezza e pudore riguardo al proprio corpo è un marker chiave dello sviluppo cognitivo e sessuale. Prima di quel momento, corrono nudi senza problemi. Dopo, improvvisamente hanno bisogno di vestirsi. Non è moralità appresa, è consapevolezza emergente.
Il racconto dell'Eden descrive esattamente questo passaggio, ma non in un singolo individuo che cresce, bensì in una specie intera che viene "attivata". Prima del frutto, Adamo ed Eva erano biologicamente adulti ma cognitivamente immaturi rispetto alla sessualità. Dopo il frutto, diventano pienamente consapevoli di sé come esseri sessuati.
E la prima conseguenza? Si coprono i genitali. Non il petto, non il viso, non le mani. I genitali. Perché improvvisamente quelli hanno acquisito un significato che prima non avevano. Sono diventati il focus della nuova consapevolezza.
Il serpente: tentatore o liberatore?
La teologia cristiana ha dipinto il serpente come Satana, il principe del male, il tentatore che ha rovinato l'umanità. Ma se leggiamo il testo senza questo filtro, il serpente appare molto diverso.
Il serpente dice la verità. Letteralmente. Afferma che non moriranno e che i loro occhi si apriranno. Ed è esattamente quello che succede. Dio invece ha mentito, o almeno esagerato: aveva detto "nel giorno in cui ne mangerai, certamente morirai", ma non è morto nessuno. Anzi, Adamo vivrà per 930 anni secondo il testo.
Il serpente viene descritto come "il più astuto", il più intelligente. La parola ebraica "arum" può significare astuto, saggio, prudente. Non ha connotazione negativa automatica. È colui che capisce, che sa, che ha conoscenza superiore.
E cosa fa questo essere saggio? Offre all'umanità la possibilità di diventare "come dèi", di acquisire conoscenza, di evolversi. Lo fa contro il volere degli Elohim, certo, ma a beneficio degli umani. È un atto di ribellione contro il controllo, non contro il bene.
Questa lettura del serpente come benefattore non è invenzione moderna. È centrale nel pensiero gnostico dei primi secoli cristiani. Gli gnostici vedevano il Dio dell'Antico Testamento (il Demiurgo) come un'entità inferiore, gelosa, che teneva l'umanità nell'ignoranza. Il serpente rappresentava la Sophia, la sapienza superiore, che portava vera conoscenza liberatrice.
Nel Vangelo gnostico degli Egiziani e in altri testi di Nag Hammadi, il serpente è esplicitamente l'eroe della storia. È colui che svela la verità: gli Elohim vi stanno tenendo nell'ignoranza per controllarvi. Io vi offro la conoscenza che vi renderà liberi e uguali a loro.
Sitchin aveva un'interpretazione più materiale ma convergente. Identificava il serpente con Enki, il dio mesopotamico della sapienza e delle acque. Enki era il creatore dell'umanità nelle tavolette sumere, quello che mescolò il sangue divino con l'argilla. Ma era anche quello che, contro il volere di Enlil (suo fratellastro e superiore), migliorò gli umani, li rese più intelligenti, insegnò loro le arti della civiltà.
Nella mitologia sumera c'è tensione costante tra Enlil ed Enki riguardo all'umanità. Enlil vuole mantenerli come semplici lavoratori. Enki continua a elevarli, istruirli, proteggerli. Quando Enlil decide di distruggere l'umanità col diluvio, è Enki che avverte Utnapishtim (il Noè mesopotamico) e gli dice come costruire l'arca.
Il serpente dell'Eden, in questo framework, sarebbe Enki/Ea in forma simbolica. Il serpente è associato ad Enki nell'iconografia mesopotamica. È lui il "sapiente" che dà conoscenza agli umani contro il volere degli altri Anunnaki. È lui che attiva il potenziale dormiente nell'umanità.
La paura degli Elohim: "È diventato come uno di noi"
La reazione di Dio dopo che Adamo ed Eva mangiano il frutto è rivelatrice. Non c'è rammarico paterno, non c'è dolore per la disobbedienza di figli amati. C'è preoccupazione pratica e immediata.
"Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva per sempre!" (Genesi 3:22).
Analizziamo questo verso attentamente. "Come uno di noi" - di nuovo il plurale. Gli Elohim sono multipli e stanno consultandosi tra loro. L'uomo è diventato simile a loro in qualcosa. Cosa? Nella "conoscenza", nella capacità riproduttiva, nella maturità biologica.
Ma la preoccupazione vera è: "ora potrebbe accedere anche all'altro albero". C'è urgenza, quasi panico. Bisogna cacciarlo via prima che mangi anche dell'Albero della Vita. Perché se lo facesse, vivrebbe per sempre.
Questo è comportamento di chi ha paura di perdere il controllo, non di chi è moralmente offeso. È la reazione di uno scienziato che vede il suo esperimento andare fuori controllo. "Abbiamo dato loro l'intelligenza ma non dovevano avere anche l'immortalità. Adesso sono pericolosi. Vanno contenuti".
Biglino evidenzia che il termine ebraico tradotto come "cacciò via" ha connotazioni quasi militari. Non è un'espulsione triste, è una rimozione forzata. E poi mette cherubini armati con "spada fiammeggiante" a guardia. Guardia contro cosa? Contro il rischio che gli umani tornino e accedano all'Albero della Vita.
Se fossimo nell'ambito della tecnologia, come suggerirebbe questa lettura, potremmo tradurre così: gli Elohim avevano due biotecnologie nel giardino. Una conferiva maturità riproduttiva e consapevolezza cognitiva. L'altra conferiva longevità estesa o immortalità. Gli umani erano stati programmati per usare la prima solo quando gli Elohim decidevano. Qualcuno (il serpente/Enki) ha bypassato il controllo e ha attivato prematuramente quella capacità (forse addirittura accoppiandosi direttamente con Eva)
Ora gli umani possono riprodursi autonomamente, senza supervisione. Non sono più una popolazione controllata di operai sterili. Sono una specie che può espandersi da sola. Se accedessero anche alla longevità, diventerebbero davvero competizione per gli Elohim. Quindi vanno rimossi dall'area protetta e tenuti lontani dalla seconda tecnologia.
Zecharia Sitchin dedicò ampio spazio al racconto dell'Eden nelle sue opere, vedendolo come documentazione di un evento di ingegneria genetica. Secondo la sua interpretazione, gli Anunnaki avevano creato i primi Homo sapiens (i "lulu", lavoratori primitivi) attraverso modificazione genetica di ominidi terrestri esistenti.
Questi primi umani erano ibridi: abbastanza intelligenti da seguire ordini complessi e lavorare efficacemente, ma non abbastanza evoluti da poter competere con i loro creatori. E crucialmente, secondo Sitchin, erano stati resi sterili o con capacità riproduttiva limitata e controllata.
Perché questa limitazione? Per lo stesso motivo per cui castriamo gli animali domestici o creiamo ibridi sterili in agricoltura: controllo della popolazione. Gli Anunnaki non volevano che i loro lavoratori si moltiplicassero incontrollabilmente. Volevano poterne determinare il numero, la distribuzione, l'uso.
Ma c'era tensione tra le fazioni Anunnaki. Enki, che aveva diretto il progetto genetico, aveva simpatia per gli umani. Li vedeva come sue creazioni, quasi figli. Enlil, che supervisionava le operazioni terrestri, li vedeva come strumenti. Questa tensione attraversa tutti i miti mesopotamici.
Secondo Sitchin, il "frutto dell'albero della conoscenza" rappresentava l'attivazione della piena capacità riproduttiva negli umani. Enki (il serpente) donò o svelò questa capacità ad Adamo ed Eva, rendendoli sessualmente maturi e fertili come i loro creatori. Non più sterili operai, ma una specie capace di riprodursi autonomamente.
Questo spiega perché "si aprirono i loro occhi" e videro la nudità. Non è metafora spirituale, è letterale: prima non avevano impulsi sessuali sviluppati, ora li hanno. Prima non vedevano i corpi in termini sessuali, ora sì. La pubertà è stata attivata geneticamente.
Mauro Biglino ha affrontato il racconto dell'Eden in diverse sue opere, sempre con l'approccio che lo contraddistingue: traduzione interlineare dell'ebraico, rimozione dei filtri teologici, attenzione ai termini concreti.
Alcuni suoi punti chiave:
Gli Elohim sono plurali e corporei. Nel testo non c'è un Dio astratto e spirituale, ma Elohim (termine plurale) che camminano nel giardino, che parlano tra loro, che hanno preoccupazioni pratiche. Biglino traduce: "Poi Yahweh, uno degli Elohim, disse...". È un individuo di un gruppo, non l'Essere Supremo unico.
Il giardino di Eden è un luogo fisico specifico. Il testo dà coordinate geografiche precise: quattro fiumi, località nominate. Non è una dimensione spirituale, è un'area geografica protetta, probabilmente nel sud della Mesopotamia. Un giardino cintato, custodito, con accesso controllato.
Gli alberi sono tecnologie. L'Albero della Vita e l'Albero della Conoscenza non sono piante magiche ma rappresentazioni di biotecnologie. Nell'antichità, quando si voleva descrivere qualcosa di complesso e tecnologico, si usavano metafore naturali. Un "albero" che dà "frutti" che producono effetti sul corpo potrebbe benissimo descrivere dispositivi biomedici o sostanze geneticamente attive.
Il serpente (nahash) non è Satana. Nel testo di Genesi non c'è identificazione con il diavolo. È semplicemente descritto come "il più astuto degli animali che Yahweh Elohim aveva fatto". Biglino nota che "nahash" può anche significare "colui che sa", "colui che decifra", "lo splendente". Potrebbe essere un titolo, non una specie.
"Conoscere" è carnale, non astratto. Come già detto, il verbo yada e il sostantivo da'at hanno implicazioni sessuali costanti nel testo biblico. La "conoscenza del bene e del male" è maturità sessuale completa, non discernimento morale filosofico.
Le punizioni sono conseguenze biologiche. I dolori del parto non sono maledizione soprannaturale, sono la realtà fisiologica della riproduzione umana attivata. Il lavoro agricolo faticoso non è punizione divina, è la necessità di sopravvivere fuori dall'ambiente protetto e rifornito del giardino.
Biglino conclude che il racconto dell'Eden, letto letteralmente, descrive un esperimento di ingegneria genetica che prende una direzione non prevista dai suoi supervisori. Umani creati come lavoratori controllati acquisiscono capacità riproduttiva piena grazie all'intervento di un membro dissidente del gruppo creatore. Questo li rende autonomi e potenzialmente pericolosi, quindi vengono rimossi dall'area protetta dove risiedono le tecnologie avanzate.
Non c'è peccato, non c'è colpa morale, non c'è offesa a Dio. C'è biologia, genetica, controllo della popolazione, e un atto di liberazione che cambia lo status degli umani da proprietà a specie indipendente.
L'espulsione: perdita di controllo e inizio dell'autonomia
L'espulsione dall'Eden è presentata come punizione, ma se la leggiamo materialmente è qualcos'altro: è separazione forzata tra due specie che non possono più coesistere nello stesso spazio.
Gli Elohim hanno perso il controllo riproduttivo sugli umani. Non possono più determinare quando e quanti umani nascono. Adamo ed Eva e i loro discendenti si moltiplicheranno secondo le proprie dinamiche biologiche, non secondo le necessità produttive degli Elohim.
Questo rende pericolosa la loro presenza vicino alle tecnologie avanzate. Se accedessero all'Albero della Vita (longevità/immortalità), diventerebbero competizione seria. Quindi vanno fisicamente rimossi dall'area protetta.
Ma questa separazione è anche liberazione. Fuori dall'Eden, gli umani devono arrangiarsi, certo. Ma sono anche liberi. Non sono più sotto supervisione diretta e controllo costante. Possono sviluppare la propria società, la propria cultura, le proprie tecnologie (sia pure primitive). Sono diventati una specie indipendente.
La "maledizione" del lavoro agricolo faticoso è in realtà l'inizio dell'agricoltura umana autonoma. La "maledizione" del parto doloroso è il prezzo della riproduzione autonoma. Sono conseguenze, non punizioni magiche. E sono conseguenze di un passaggio evolutivo fondamentale: da proprietà a specie libera.
C'è una ragione profonda per cui il controllo della riproduzione è centrale in questa storia. Chi controlla la riproduzione controlla la popolazione. Chi controlla la popolazione controlla la forza lavoro, l'esercito, il futuro stesso della specie.
Se gli Anunnaki avevano creato gli umani come lavoratori, la prima cosa da controllare era quanti ne esistevano, dove vivevano, come si moltiplicavano. Una popolazione che si riproduce incontrollatamente diventa rapidamente ingestibile. Si espande in territori non voluti. Sviluppa cultura e identità proprie. Diventa una forza indipendente.
Se accettiamo questa lettura del racconto dell'Eden, l'intera struttura della teologia cristiana tradizionale crolla. Il cristianesimo si basa sull'idea del peccato originale: Adamo ed Eva hanno peccato, e questo peccato si trasmette a tutti i loro discendenti. L'umanità è corrotta dalla nascita e ha bisogno di redenzione attraverso il sacrificio di Cristo.
Ma se non c'è stato peccato, solo attivazione biologica? Se non c'è stata offesa a Dio, solo acquisizione di autonomia? Se il serpente non era il diavolo ma un benefattore? Allora non c'è colpa da redimere, non c'è caduta da cui risalire, non c'è peccato originale da lavare.
L'umanità non è "caduta" dall'Eden, è stata espulsa dopo aver acquisito caratteristiche che la rendevano pericolosa ai suoi creatori.
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