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Ci sono storie che non troverai nei libri di scuola. La Storia Occulta è il blog che indaga ciò che la storia ufficiale tace. Qui esploriamo le origini dimenticate dell’umanità, i testi antichi riletti con occhi nuovi, il legame tra religione e contatto extraterrestre. Dai Sumeri agli Anunnaki, dalla Bibbia ai miti nascosti: ogni post è una porta aperta sul lato oscuro e affascinante del nostro passato.
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Mosè e il mistero del monte Sinai
Il racconto biblico di Mosè sul monte Sinai è uno degli episodi più iconici e misteriosi dell’Antico Testamento. Secondo la narrazione tradizionale, Mosè ascese il monte per ricevere direttamente da Dio le famose Tavole della Legge, tra tuoni, lampi e un’imponente nube che copriva la cima. Ma cosa si nasconde dietro questa descrizione così potente e quasi cinematografica? E se ciò che gli antichi interpretarono come manifestazioni divine fosse in realtà un evento di natura tecnologica, osservato con gli occhi di un popolo privo di termini e conoscenze adeguate per comprenderlo?
Le scritture parlano di un “fuoco divorante” sulla sommità del monte, di un “suono di tromba che si faceva sempre più forte” e di una “gloria” che faceva tremare il popolo accampato ai piedi della montagna. Una scena che, riletta con occhi moderni, ricorda sorprendentemente la discesa di un velivolo, accompagnato da rumori assordanti, luce intensa e vibrazioni tali da scuotere la terra. Se a ciò si aggiunge la descrizione della “colonna di nube” e della “colonna di fuoco” che guidavano gli Israeliti nel deserto, si delinea un quadro che potrebbe richiamare un fenomeno di tipo aerospaziale, interpretato nei termini di un’umanità primitiva.
Tra le immagini più potenti e inquietanti del racconto biblico del monte Sinai spicca un elemento spesso sottovalutato: il suono di tromba che, secondo le Scritture, si faceva “sempre più forte”, al punto da scuotere la terra e terrorizzare il popolo accampato. Ma di cosa si trattava veramente?
La Bibbia (Esodo 19:16-19) descrive così la scena:
“Al mattino del terzo giorno ci furono tuoni, lampi e una densa nube sul monte; un suono di tromba fortissimo, e tutto il popolo che era nell’accampamento tremò. […] Il suono della tromba cresceva sempre più forte: Mosè parlava, e Dio gli rispondeva con la voce.”
Un suono che non si limita a un semplice colpo di corno, ma che aumenta d’intensità fino a scuotere la terra e a far tremare di terrore migliaia di persone. Nell’originale ebraico si parla di qol shofar, un termine che indica un suono prolungato, acuto, capace di perforare il silenzio del deserto. Non un segnale casuale, ma un fenomeno continuativo e crescente, come se provenisse da una fonte dotata di un’energia impressionante.
Se analizziamo questa descrizione con un’ottica moderna, l’ipotesi più suggestiva è che quel suono non fosse prodotto da uno strumento umano, bensì da un fenomeno tecnologico sconosciuto agli occhi degli antichi. Molti appassionati di ufologia hanno notato che il crescendo del suono, accompagnato a vibrazioni e tremori del terreno, ricorda i rumori associati all’atterraggio o alla discesa di un velivolo: un rombo simile al suono di una tromba o a un ronzio assordante, come quello emesso dai motori a reazione o da turbine. Inoltre, la Bibbia sottolinea che il suono proveniva “dall’alto”, non dal campo né dagli uomini. Era una manifestazione dal cielo, un “richiamo” che faceva da preludio a un evento straordinario. Se si accetta l’ipotesi di un incontro con entità tecnologicamente avanzate, quel suono potrebbe essere il frutto di un sistema di propulsione o di un meccanismo di stabilizzazione di un oggetto sospeso sopra la vetta del monte.Un’altra possibilità è che si trattasse di un segnale sonoro deliberatamente amplificato, usato come mezzo di comunicazione o di avvertimento per il popolo sottostante. In molte culture antiche, il suono era considerato un segno divino, e chi controllava i suoni più potenti poteva facilmente farsi passare per una divinità.
La descrizione biblica del suono crescente, unita al bagliore, al fumo e ai terremoti localizzati, ricorda anche fenomeni osservati in alcuni casi di avvistamenti UFO moderni, in cui testimoni riferiscono di ronzii, sibili o vere e proprie trombe celesti prima della comparsa di luci anomale. Alcuni di questi casi sono noti come “sky quakes”, boati inspiegabili che scuotono un’area senza cause apparenti, eventi che alcuni ricercatori ipotizzano possano essere legati a tecnologie sconosciute.
Ma c’è un ulteriore dettaglio sorprendente: il suono di tromba sul Sinai non si limitò a un solo episodio. Secondo la narrazione biblica, ogni volta che Mosè saliva sul monte per parlare con Dio, il suono tornava a risuonare. Un segnale ripetuto, come un protocollo di contatto che si attivava a ogni incontro.
Infine, le tradizioni rabbiniche e i testi extra-biblici affermano che il suono era così assordante da “riempire il cielo e la terra”, un’iperbole che però suggerisce un fenomeno uditivo capace di coinvolgere un’intera regione. Se fosse stato un evento naturale, come un semplice tuono, perché descriverlo come un suono prolungato e crescente? Perché sottolineare la paura che suscitava nel popolo, al punto da far vacillare la loro fede e spingerli a chiedere a Mosè di intercedere per loro?Il misterioso suono di tromba del Sinai potrebbe essere la testimonianza di un evento tecnologico che sfuggiva completamente al lessico e alla comprensione di un’umanità arcaica. Un suono che, invece di un corno sacro, potrebbe essere stato l’eco di un motore celeste, di un sistema di atterraggio o di un segnale di contatto proveniente da un “carro di fuoco” sospeso sopra il monte.I testi raccontano che, mentre Mosè era sul monte, un suono di tromba cresceva sempre più forte, al punto da far tremare il campo degli Israeliti. Il termine ebraico usato indica un suono prolungato, quasi come un ronzio o un sibilo. Questo dettaglio ricorda rumori associati a motori o tecnologie avanzate: un possibile indizio di un mezzo volante in fase di stazionamento sopra la vetta.
Un altro dei misteri più affascinanti dell’esperienza di Mosè sul Sinai e della tradizione biblica in generale, il concetto di shekinah occupa un posto unico. Il termine deriva dall’ebraico shakan, “dimorare”, e indica la presenza tangibile di Dio tra gli uomini. Nella teologia ebraica, la shekinah rappresenta la manifestazione visibile della divinità, percepita come una luce intensa, una nube splendente o un fuoco divorante. Ma cosa si nasconde dietro questo concetto così elusivo? Le descrizioni della shekinah abbondano di elementi spettacolari: si parla di un bagliore che avvolge il Tabernacolo, di una nube luminosa che copre il monte Sinai, di lampi e di una “gloria” che scende sulla Terra. Tutti dettagli che sembrano trascendere un’esperienza mistica per avvicinarsi a un fenomeno fisico concreto, osservabile e terrificante. Quando Mosè incontra la shekinah sul Sinai, il popolo percepisce una colonna di fumo di giorno e una colonna di fuoco di notte, come se la presenza divina fosse accompagnata da effetti visivi imponenti.
Queste manifestazioni ricordano molto da vicino quelle associate, nei racconti di testimoni moderni, agli avvistamenti di oggetti volanti non identificati: bagliori accecanti, sfere di luce, colonne di fumo che appaiono e scompaiono, luci notturne che si librano nel cielo. Potrebbe la shekinah essere stata la manifestazione di un campo energetico generato da un’entità tecnologicamente avanzata, interpretato dagli antichi come un segno divino?
Il Tabernacolo, il luogo in cui la shekinah si manifestava stabilmente, era descritto come uno spazio progettato nei minimi dettagli: un’area delimitata, accessibile solo a Mosè e al sommo sacerdote, all’interno della quale si concentrava questa “presenza”. Alcuni studiosi alternativi hanno ipotizzato che il Tabernacolo fosse una sorta di “camera di contatto”, realizzata per contenere la potente energia della shekinah senza danneggiare chi si trovava nelle vicinanze. In altre parole, come se fosse un modulo di comunicazione isolato, necessario per interagire con un’intelligenza superiore.
Curiosamente, nel linguaggio cabalistico e mistico, la shekinah è rappresentata come una luce viva, un’emanazione che accompagna la divinità, ma mai la divinità stessa: quasi come se fosse un’interfaccia tra l’uomo e un potere più grande, un mediatore energetico. Questo aspetto ricorda la possibilità che ciò che Mosè e gli Israeliti videro non fosse “Dio” in senso ultimo, ma un fenomeno controllato o un dispositivo atto a manifestare la volontà di un’entità superiore.
In diverse tradizioni ebraiche, la shekinah si sposta insieme al popolo, guidandolo nel deserto, fermandosi quando essi si fermano e muovendosi quando ripartono. È un comportamento sorprendentemente simile a quello di un oggetto in grado di volare e sostare a piacimento sopra un accampamento, suggerendo la possibilità di un velivolo capace di accompagnare una carovana nel deserto per mesi o anni.
Un altro dettaglio rivelatore è la potenza distruttiva associata alla shekinah: in più episodi biblici, la sua manifestazione causa la morte di chi si avvicina senza permesso. Una caratteristica che, se letta in chiave tecnologica, potrebbe rimandare agli effetti collaterali di un’intensa radiazione o di un campo elettromagnetico potente, in grado di colpire all’istante chi viola le regole di sicurezza.
La shekinah, da sempre considerata simbolo della presenza divina, potrebbe in realtà nascondere un ricordo ancestrale di un fenomeno tecnologico straordinario. Un campo energetico artificiale? Un’interfaccia olografica avanzata? Un segnale visibile creato da un’intelligenza superiore per comunicare con un popolo ancora primitivo?
Ma non è tutto: Mosè rimase sul Sinai per quaranta giorni e quaranta notti, periodo durante il quale, secondo i testi, egli “parlava faccia a faccia con Dio, come un uomo parla con il suo amico”. Ma chi, o cosa, era davvero questo “Dio” che necessitava di lunghi colloqui privati in un luogo isolato, e che imponeva severe restrizioni al popolo, minacciando morte per chiunque si fosse avvicinato? La descrizione ricorda più una quarantena di sicurezza intorno a un’area riservata – come accadrebbe con tecnologie avanzate o attività segrete – che un semplice incontro mistico. La voce che parla a Mosè e al popolo potrebbe essere una comunicazione telepática o un messaggio trasmesso tramite un dispositivo di amplificazione del suono proveniente da una fonte sconosciuta.
Le Tavole della Legge, incise direttamente dal “dito di Dio”, potrebbero essere interpretate come dispositivi o supporti tecnologici su cui furono “programmati” i comandamenti, strumenti capaci di impressionare profondamente una società tribale. Del resto, il concetto di “scrittura divina” sembra suggerire un processo che travalica la semplice incisione manuale: un’operazione così rapida e precisa da sembrare impossibile con strumenti rudimentali.
Un altro elemento intrigante è la descrizione dell’Arca dell’Alleanza, costruita subito dopo l’esperienza sul Sinai: un oggetto di legno rivestito d’oro, con specifiche misure e dettagli accurati. All’interno, le Tavole, custodite come la prova tangibile del patto con Dio. Ma l’Arca non era un semplice contenitore: si dice che fosse in grado di emettere lampi, uccidere chi la toccava senza permesso, e addirittura guidare il popolo con la sua potenza. Alcuni studiosi alternativi hanno ipotizzato che l’Arca fosse un sofisticato dispositivo di origine non terrestre, capace di generare campi elettrici o radioattivi, la cui manipolazione richiedeva conoscenze specifiche tramandate solo a pochi sacerdoti. Ma questo merita un post a parte.
La Bibbia riferisce che Mosè, al ritorno dal Sinai, aveva il volto talmente raggiante da dover indossare un velo per non spaventare il popolo. Tradizionalmente questo viene interpretato come la prova della santità del suo incontro con Dio, ma non potrebbe trattarsi di un effetto collaterale dovuto all’esposizione a una fonte di energia intensa? Alcune radiazioni, come quelle emesse da certi dispositivi nucleari o tecnologici, possono provocare reazioni cutanee, arrossamenti o addirittura fenomeni di luminescenza sulla pelle.
Il Sinai, inoltre, è un luogo geograficamente enigmatico. Non esiste un’unica identificazione certa del monte: le tradizioni lo collocano in diversi punti della penisola del Sinai, ma nessuna località ha fornito prove inconfutabili. Questo dettaglio alimenta l’ipotesi che la “montagna sacra” fosse in realtà un luogo mobile, una sorta di piattaforma di atterraggio che gli antichi descrissero come una vetta avvolta da nubi e lampi. Se si accetta la possibilità di un contatto con entità superiori dotate di tecnologia, si potrebbe ipotizzare che Mosè fu scelto come interlocutore di un gruppo extraterrestre o di una civiltà avanzata che operava sulla Terra in un’epoca remota.
I testi biblici insistono sul concetto di un Dio geloso, che non tollerava altre divinità e richiedeva obbedienza assoluta. Un comportamento più simile a quello di un conquistatore o di un sovrano territoriale che non a un’entità universale benevola. Se si immagina un visitatore proveniente da un altro mondo, interessato a instaurare un rapporto di dominio o controllo su un popolo ancora primitivo, le richieste di fedeltà e le minacce di punizioni sembrano perfettamente coerenti. Tra l'altro, questa visione non è nuova, Mauro Biglino lo ha ampiamente dimostrato nei suoi numerosi libri.
Perfino il fenomeno del “man hu?” (la manna) – il cibo miracoloso che gli Israeliti trovarono ogni mattina nel deserto – potrebbe essere riletto come un approvvigionamento tecnologico: un nutrimento sintetico distribuito da un mezzo volante, capace di fornire sostentamento a migliaia di persone. Le descrizioni parlano di un alimento che compariva al sorgere del sole e si deteriorava rapidamente, un comportamento anomalo per un prodotto naturale ma compatibile con cibo confezionato o preparato artificialmente.
In questo quadro, l’intero esodo appare come una missione di trasferimento di un gruppo umano, guidato da un mediatore (Mosè) in contatto diretto con potenze che si manifestavano attraverso colonne di luce, suoni assordanti e segni spettacolari. Più che un miracolo, un’operazione logistica su larga scala, gestita da entità dotate di tecnologie al di là della comprensione del tempo.
Se queste ipotesi sembrano estreme, è utile ricordare che nella Bibbia stessa si fa riferimento a “carri di fuoco”, “ruote che si muovono nel cielo” (come nella visione di Ezechiele), e a eventi che sfidano le leggi naturali. Fenomeni che, riletti oggi con la lente dell’ufologia, potrebbero rivelare un’altra storia dell’umanità: una storia in cui le divinità non erano esseri soprannaturali, ma visitatori venuti da lontano, forse dalle stelle, a cambiare per sempre il destino di un popolo.
Questo approccio invita a considerare la possibilità che, dietro i miti e le cronache sacre, si celino ricordi di incontri con civiltà avanzate, capaci di plasmare la cultura e la religione dell’umanità. Un’ipotesi che sposta lo sguardo oltre i confini tradizionali e le versioni canoniche ,verso un passato che potrebbe essere stato molto più sorprendente di quanto osiamo immaginare.
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