Yahweh: il Dio nascosto tra gli dèi di Sumer
E se Yahweh non fosse mai stato l'unico Dio, ma solo uno dei tanti? Se la sua figura, così assoluta e dominante nei testi sacri, fosse in realtà il risultato di una lunga evoluzione, di una sovrapposizione di antiche divinità? Un sincretismo tra culture, credenze e tradizioni? Questa è una domanda che cambia tutto. Perché ci costringe a rileggere le Scritture non come rivelazione unica, ma come prodotto di stratificazioni culturali, riscritture teologiche e, forse, manipolazioni. Chi era davvero Yahweh? La Bibbia ce lo presenta come eterno, unico, onnipotente. Ma il suo nome appare tardi, non è presente nei primi racconti della Genesi. Lì si parla genericamente di Elohim. Solo più avanti, con Mosè, Yahweh rivela il suo nome: “Io sono colui che sono” (Esodo 3:14). Ma perché aspettare tanto per rivelarsi? E perché parlare con nomi diversi? Prima ancora si parla di El Shaddai, di Elyon, di Adonai. Tutti questi nomi indicano forse divinità differenti, poi unificate sotto una sola maschera? Nell'antico Vicino Oriente, gli dei erano tanti. Ogni città aveva il suo. In Canaan, prima della conquista israelita, il pantheon era dominato da El, il dio supremo, padre degli altri dèi. Tra questi, c'erano Baal, Astarte, Mot. In questo contesto, Yahweh appare inizialmente come una divinità tribale del sud, adorato in luoghi come Seir o Edom. In Deuteronomio 33:2 si legge: “Yahweh venne da Sinai, e da Seir brillò per loro, risplendette dal monte Paran”. Non si parla di cielo, ma di luoghi geografici reali. Era forse un capo di un gruppo, un essere potente che scese su una montagna e si manifestò tra tuoni e fuoco? Ma il punto più interessante emerge quando si scava nella struttura della Bibbia. In Deuteronomio 32:8-9, nella versione più antica (quella del manoscritto di Qumran), si legge: “Quando l'Altissimo distribuiva le nazioni, quando separava i figli dell'uomo, stabilì i confini dei popoli secondo il numero dei figli degli dèi. Ma la porzione di Yahweh fu il suo popolo, Giacobbe fu la parte della sua eredità”. Qui Yahweh non è l'unico Dio, ma uno dei tanti. Ogni divinità riceve un popolo, e a Yahweh tocca Israele. Questo è un frammento rivelatore: la Bibbia ammette che esistevano altri “dèi”, ma Yahweh era quello degli israeliti. Nel Salmo 82 si legge ancora: “Dio sta nell'assemblea divina, giudica in mezzo agli dèi”. Lì viene condannata la condotta degli altri Elohim. Ma chi sono questi? Non si tratta di idoli, ma di entità con potere e autorità. Anche in Genesi 6:2 troviamo: “I figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle, e le presero per mogli”. Il linguaggio è chiaro: non si parla di metafore, ma di esseri concreti. Chi erano questi Elohim, se non membri di un consiglio celeste, di un pantheon arcaico? In questo contesto, Yahweh non è l'unico, ma il più potente, o il più geloso. Il parallelo con la cultura sumera è inevitabile. Lì troviamo un pantheon articolato, dominato da Anu, Enlil, Enki, Ninhursag. Enlil, in particolare, è descritto come collerico, distruttivo, severo. Fu lui a volere il Diluvio, per annientare l'umanità, stanca del suo rumore. Solo Enki intervenne per salvare Ziusudra. Il racconto sumerico anticipa quello biblico con Noè. E chi appare come il dio severo, geloso, che distrugge? Enlil. Le somiglianze con Yahweh sono inquietanti. Anche Yahweh si pente di aver creato l'uomo, decide di distruggerlo con il Diluvio, ma salva solo un eletto. Cambia il nome, ma non la struttura del mito. Altri elementi rafforzano questa connessione. Yahweh è spesso chiamato “Dio degli eserciti”. Non è un dio di pace, ma un condottiero. Guida il suo popolo in guerra, stermina intere popolazioni, ordina genocidi. In 1 Samuele 15 ordina a Saul di sterminare gli Amaleciti: uomini, donne, bambini, bestiame. Questo è un dio di giustizia, o un comandante militare? Se si immagina Yahweh come un essere potente, forse non umano, allora i suoi atti assumono un altro significato. Era un leader che imponeva obbedienza assoluta, come un signore Anunnaki? Anche la famosa frase “Non avrai altri dèi di fronte a me” (Esodo 20:3) è rivelatrice. Non nega l'esistenza di altri dèi. Chiede solo di non adorare altri. Questo presuppone la pluralità. In un contesto monoteista, quella frase non avrebbe senso. Invece ha senso se Yahweh stava lottando per il dominio su un popolo, in concorrenza con altri esseri simili a lui. Tutto porta a un sospetto: la Bibbia non è nata nel vuoto. È una rielaborazione, una sintesi, forse una riscrittura strategica. I racconti di Abramo, Mosè, Noè, sono versioni semplificate di miti più antichi, importati dalla Mesopotamia. I nomi cambiano, i ruoli si fondono, ma la struttura rimane. E Yahweh, il dio assoluto, potrebbe essere il volto finale di una lunga linea di dèi guerrieri, severi, vendicativi, che scesero dal cielo per dominare sulla Terra. Rileggere le Scritture con questa chiave cambia tutto. Yahweh diventa allora una maschera. Dietro di lui si intravede l'ombra di Enlil, di El, di un potere antico e dimenticato. Un potere che parlava attraverso tuoni, colonne di fuoco, nuvole che guidavano nel deserto. Un potere concreto, fisico, eppure travestito da spirituale. Forse non si trattava di Dio, ma di dèi. O di qualcosa d'altro. E se così fosse, la fede stessa si fonderebbe su un grande equivoco: non l'adorazione del creatore dell'universo, ma la sottomissione a una forza antica, terrestre, potente. Un padrone sceso dal cielo, non per salvarci, ma per governarci.
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