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SODOMA E GOMORRA: QUANDO LA BIBBIA DESCRIVE L' INIMMAGINABILE

Il 6 agosto 1945, alle 8:15 del mattino, un'arma rivoluzionaria esplose sopra Hiroshima. I testimoni sopravvissuti descrissero un lampo accecante, seguito da una colonna di fumo e fuoco che si elevava verso il cielo come una fornace gigantesca. Chi guardò direttamente l'esplosione perse la vista. Chi si trovava nelle immediate vicinanze fu istantaneamente vaporizzato, lasciando solo ombre impresse sul terreno. La città intera fu rasa al suolo in secondi. Ora torniamo indietro di circa 3.500 anni. Apriamo la Bibbia ebraica, Genesi capitolo 19. Leggiamo la descrizione della distruzione di Sodoma e Gomorra. E qualcosa di inquietante emerge: i dettagli sono straordinariamente simili. Come poteva un testo scritto millenni prima dell'era atomica descrivere fenomeni che l'umanità avrebbe compreso solo nel XX secolo? Il Racconto Biblico: I Dettagli Che Contano Rileggiamo il testo senza preconcetti, prestando attenzione ai dettagli tecnici: Genesi 19:24-25 "Allo...

Come facevano i Sumeri a scrivere di incontri con esseri del cielo e navi celesti senza avere nozioni scientifiche moderne?


La risposta è gia nel titolo.

Nelle biblioteche archeologiche giacciono centinaia di migliaia di tavolette cuneiformi sumere, molte delle quali ancora non tradotte. Tra quelle già decifrate emerge un paradosso che dovrebbe far riflettere ogni studioso serio della storia antica: come poteva una civiltà di 6.000 anni fa, che secondo la narrativa ufficiale aveva appena scoperto l'agricoltura e la ruota, descrivere con precisione tecnica fenomeni celesti e tecnologie che noi abbiamo compreso solo nel XX secolo?

Quando ci avviciniamo ai testi delle più antiche civiltà, in particolare a quelli sumeri, incontriamo un problema affascinante: come spiegare la precisione e la ricorrenza con cui parlano di esseri “discesi dal cielo”, di conoscenze astronomiche e di “carri” che attraversano i cieli?
Come poteva un popolo pre-tecnologico, senza telescopi, motori o aeroplani, descrivere qualcosa di simile a un contatto extraterrestre?

Secondo l’archeologia accademica, i testi sumeri sono mitologia e simbolismo. Gli dèi sono personificazioni delle forze naturali: il cielo, il mare, le tempeste, il sole. “Scendere dal cielo” è un modo poetico per dire “manifestarsi” o “avere origine divina”. Le conoscenze astronomiche sono spiegate come osservazioni a occhio nudo e calcoli rudimentali.
In questa lettura, i “carri celesti” non sono veicoli reali, ma un linguaggio religioso e allegorico.

Le tavolette sumere non parlano di "dèi" nel senso mitologico che noi occidentali attribuiamo al termine. La parola "Anunnaki" significa letteralmente "quelli che dal cielo alla terra vennero" - una descrizione geografica precisa, non una metafora spirituale. Quando i testi descrivono le loro "navi celesti" usano termini tecnici specifici: "mu" (oggetti che volano), "shem" (veicoli verticali), "din.gir" (luminosi e puri).

Ma ecco il problema: come facevano i Sumeri a distinguere tra "oggetti che volano" e "veicoli verticali" se nella loro esperienza quotidiana non esisteva nulla di simile? Un pastore mesopotamico del 3000 a.C. che vedesse un aereo moderno lo descriverebbe probabilmente come "grande uccello" o "nuvola veloce". Invece, i testi sumeri usano terminologie precise che implicano una comprensione delle diverse tipologie di volo e propulsione.

Per comprendere questi testi dobbiamo ricordare che ogni civiltà traduce l’esperienza con i simboli che possiede.
– Se un popolo del Neolitico vedesse un elicottero, forse parlerebbe di un “uccello di ferro”.
– Se assistesse a una luce artificiale, la chiamerebbe “fuoco del cielo”.
Così, per i Sumeri, ciò che veniva dall’alto poteva essere descritto solo in termini di dèi, carri, fulmini, tempeste.

L'Epica di Gilgamesh descrive il viaggio del protagonista con Utnapishtim utilizzando una "nave che si eleva" e parla di "vedere la Terra rotonda dall'alto". Ma come potevano i Sumeri sapere che la Terra è sferica quando questa conoscenza è stata "ufficialmente" riscoperta dai Greci molto più tardi? E come potevano immaginare una vista dall'alto della curvatura terrestre senza mai averla sperimentata?

Nelle tavolette della serie "Enuma Elish" troviamo descrizioni dettagliate del sistema solare che includono tutti i pianeti conosciuti oggi, compreso Plutone, scoperto solo nel 1930. Il famoso sigillo VA-243 mostra il sistema solare con il Sole al centro circondato da tutti i pianeti nelle posizioni corrette - una rappresentazione che dovrebbe essere impossibile per astronomi che osservavano ad occhio nudo.

Ancora più inquietante è la precisione con cui vengono descritte le fasi lunari, le eclissi, e i cicli di precessione degli equinozi - fenomeni che richiedono osservazioni sistematiche per secoli e calcoli matematici complessi. I Sumeri non solo conoscevano questi cicli, ma li usavano per predire eventi celesti con accuratezza stupefacente.

I testi sumeri descrivono processi metallurgici che richiedono temperature e tecniche che teoricamente non dovrebbero essere state disponibili. Parlano di "metalli puri che brillano come il sole" e di "leghe che non si consumano mai". Alcuni di questi materiali vengono descritti come componenti delle "navi celesti" degli Anunnaki.

L'analisi dei pochi manufatti metallici sumeri sopravvissuti rivela leghe complesse che richiedono forni ad alta temperatura e conoscenze chimiche avanzate. Ma da dove venivano queste conoscenze? La metallurgia sumera sembra emergere dal nulla, completamente formata, senza tracce di sviluppo graduale che ci aspetteremmo da una tecnologia in evoluzione.

I Sumeri conoscevano la precessione degli equinozi - quel complesso movimento ciclico di 25.920 anni che causa lo spostamento apparente delle costellazioni. Questo fenomeno richiede osservazioni accurate per almeno 500-1000 anni per essere rilevato e compreso. Come poteva una civiltà "nata" intorno al 4000 a.C. possedere già questa conoscenza?

I loro calendari erano basati su calcoli astronomici di precisione straordinaria. Conoscevano la durata esatta dell'anno solare (365,25 giorni), i cicli lunari, e avevano sviluppato un sistema matematico posizionale che utilizzava il numero 60 come base - sistema che usiamo ancora oggi per misurare tempo e angoli.

Le ziggurat, le loro costruzioni più imponenti, non erano solo templi ma veri osservatori astronomici orientati con precisione millimetrica verso specifiche costellazioni. La Grande Piramide di Giza impallidisce di fronte alla precisione astronomica di strutture come la ziggurat di Ur o quella di Babilonia.

Quando Zecharia Sitchin iniziò a tradurre letteralmente le tavolette sumere invece di interpretarle in chiave mitologica, emerse un quadro sconcertante. I testi parlavano di ingegneria genetica ("mescolarono la loro essenza con quella dell'uomo primitivo"), di viaggi spaziali ("dal pianete Nibiru vennero alla Terra"), di tecnologie avanzate ("macchine che volano senza ali").

Gli accademici tradizionali liquidano queste traduzioni come fantasie, ma non riescono a spiegare come i Sumeri potessero inventare concetti per cui non avevano riferimenti nella loro esperienza. Come si inventa la descrizione di un viaggio spaziale quando non si è mai visto nemmeno un cavallo? Come si fantastica di ingegneria genetica quando non si conosce nemmeno l'esistenza dei microbi?

I testi sumeri contengono descrizioni dettagliate di eventi che, secondo la cronologia ufficiale, nessun essere umano avrebbe potuto osservare. Raccontano della formazione del sistema solare, dell'arrivo della Luna nell'orbita terrestre, di catastrofi planetarie avvenute milioni di anni fa.

Il "Mito della Creazione" sumero descrive la formazione della fascia degli asteroidi come risultato della collisione tra un pianeta chiamato Tiamat e un corpo celeste in transito. Solo nel XX secolo gli astronomi hanno ipotizzato che la fascia asteroidale potrebbe essere i resti di un pianeta distrutto. Come facevano i Sumeri a "indovinare" questa teoria moderna?

Uno degli aspetti più inquietanti della civiltà sumera è la sua complessità immediata. Non emerge gradualmente dal neolitico - appare completamente formata intorno al 4000 a.C. con scrittura, matematica, astronomia, metallurgia, architettura monumentale, sistemi legali complessi, medicina avanzata.

È come se qualcuno avesse "installato" una civiltà completa in Mesopotamia. Non ci sono fasi primitive, non c'è evoluzione graduale. Un giorno ci sono villaggi agricoli semplici, il giorno dopo (in termini archeologici) ci sono città-stato con tutti i tratti della civiltà moderna.

I testi sumeri descrivono con precisione fenomeni che dovrebbero essere completamente estranei alla loro esperienza:

Le "armi che brillano come soli" e producono "venti di morte" - descrizioni che ricordano incredibilmente le armi nucleari. Il Mahabharata indiano, contemporaneo ai testi sumeri, descrive armi simili con effetti devastanti che corrispondono alle descrizioni delle esplosioni atomiche.

Le "macchine volanti" vengono descritte con dettagli tecnici: producono "venti potenti", si alzano "verticalmente come colonne di fuoco", emettono "luci abbaglianti", lasciano "tracce nel cielo". Sono descrizioni che potrebbero facilmente essere applicate a veicoli spaziali moderni.

I "giardini sospesi nell'aria" e le "città che galleggiano nelle nuvole" degli Anunnaki suggeriscono strutture in orbita o stazioni spaziali - concetti che dovrebbero essere totalmente estranei a pastori e agricoltori dell'antichità.

La Risposta che Disturba

Di fronte a queste anomalie, l'archeologia ufficiale ha due opzioni: ammettere che c'è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nella nostra comprensione del passato umano, oppure liquidare tutto come "mitologia" e "immaginazione primitiva".
Ma questa seconda opzione solleva più domande di quante ne risolva. Come si fa a immaginare ciò che non si è mai visto? Come si inventano tecnologie che non si conoscono? Come si descrivono fenomeni astronomici che richiedono strumenti per essere osservati?
La spiegazione più semplice - e più disturbante - è che i Sumeri stessero descrivendo quello che avevano realmente visto e sperimentato. Che le loro "divinità" fossero esseri in carne e ossa dotati di tecnologie avanzate. Che le loro "navi celesti" fossero veicoli reali che solcavano i cieli mesopotamici.

Forse i Sumeri non erano primitivi che fantasticavano, ma i sopravvissuti di una catastrofe che aveva distrutto una civiltà precedente. Forse erano i testimoni diretti di eventi straordinari che noi, nella nostra arroganza moderna, liquidiamo come superstizione.
O forse - ipotesi ancora più radicale - erano davvero in contatto con esseri provenienti da altrove, esseri che possedevano conoscenze e tecnologie che noi stiamo solo ora iniziando a comprendere.
In fondo, la domanda non è come i Sumeri potessero conoscere queste cose impossibili. La domanda è: perché noi ci ostiniamo a credere che fossero impossibili da conoscere?

Forse è tempo di leggere le loro tavolette non come mitologia antica, ma come cronache di una storia che abbiamo dimenticato. Perché se hanno ragione loro - se esseri avanzati hanno davvero visitato la Terra migliaia di anni fa - allora tutto ciò che crediamo di sapere sulla nostra origine e sul nostro posto nell'universo deve essere riscritto.

Il fatto che diverse culture lontane nel tempo e nello spazio abbiano raccontato storie simili di esseri “venuti dal cielo” dovrebbe spingerci almeno a chiedere: perché la stessa immagine ricorre ovunque?
Coincidenza culturale? Memoria collettiva?

Forse, proprio forse, quegli esseri non se ne sono mai andati davvero. Forse stanno ancora osservando, aspettando che siamo abbastanza maturi da comprendere la verità che i Sumeri hanno custodito per noi nelle loro tavolette di argilla.
La conoscenza impossibile dei Sumeri non è un mistero archeologico.
È un messaggio.
E il messaggio è: non siete soli, e non siete i primi.
Non è necessario credere ma è utile interrogarsi.


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