C’è un segno che attraversa millenni, migra tra popoli, cambia nome ma non potere evocativo: una stella a otto punte. La incontriamo su sigilli cilindrici, stele di confine, elmi e vesti regali, porte monumentali e mattoni smaltati. I sumeri la chiamavano Inanna; gli accadi e i babilonesi la conobbero come Ishtar. La sua stella è uno dei “pittogrammi” più riconoscibili del Vicino Oriente antico, ma la sua storia è anche un compendio di astronomia osservata, politica sacra, culto e memoria culturale.
In questo saggio ripercorriamo origini, significati e metamorfosi della Stella di Ishtar, dal mondo sumero alla ricezione tardo-antica, con attenzione agli aspetti iconografici e agli indizi astronomici (soprattutto il legame con Venere), per capire perché questo segno continui a parlare al presente.
1) Chi è Ishtar (Inanna) e perché una stella
Nella tradizione sumerica la dea si chiama Inanna (“Signora del Cielo”); in accadico e babilonese diventa Ishtar. È una divinità complessa: dea dell’amore e della sessualità, ma anche della guerra, della giustizia, dell’autorità regale e—cosa spesso trascurata—del cielo. È, insomma, una potenza liminale: unisce poli opposti (vita/morte, eros/thanatos, pace/guerra) e per questo domina i passaggi, le soglie, le “porte”.
La sua stella a otto punte non è un “logo” nato a tavolino. È la distillazione grafica di una osservazione celeste (Venere) e di un ruolo cultuale: Inanna/Ishtar come entità che presiede ai cicli, alle direzioni, all’ordine del cosmo. Non stupisce che il segno compaia come determinativo divino: in cuneiforme il logogramma 𒀭 (DINGIR/AN), a forma stellata, introduce il nome delle divinità. Una stella, dunque, indica “ciò che è del cielo”.
Quando parliamo di “Stella di Ishtar” conviene distinguere tre registri iconografici ricorrenti:
Stella a otto punte: talvolta semplice, talvolta inscritta in un cerchio. È l’attributo più tipico. Otto punte regolari, spesso sottili e allungate.
Rosetta: fiore stilizzato (frequentemente a otto petali) che nelle arti babilonesi e assire assume valore di emblema ishtariano; sul celebre Portale di Ishtar a Babilonia le rosette smaltate costellano i pannelli insieme a tori e draghi, marcando la presenza e la protezione della dea.
Leone: animale-emblema di Ishtar, soprattutto nell’arte assira. Le raffigurazioni di sovrani con leoni “domati” alludono anche alla protezione della dea guerriera.
Nelle kudurru (stele di confine) dell’epoca cassita e successiva, i simboli divini sono spesso disposti in registri: la stella di Ishtar, il disco solare di Shamash, la falce lunare di Sin, la zappa/spada di Marduk. La stella entra così in un alfabeto teologico immediatamente leggibile: chi guarda riconosce la gerarchia e i patroni del territorio.
Il collegamento più saldo tra stella e dea è Venere. I mesopotamici ne studiarono con rigore le apparizioni e scomparse all’orizzonte; la celebre Tavoletta di Venere di Ammi-ṣaduqa (periodo paleobabilonese) registra le levate e i tramonti eliaci del pianeta per anni. Alcuni punti chiave:
Il periodo sinodico di Venere è ~584 giorni.
5 periodi sinodici corrispondono a ~8 anni terrestri (8×365 ≈ 5×584). Dopo quasi otto anni, Venere torna a sorgere in cielo in posizioni molto simili.
“Otto” diventa così numero-segnatura: 8 punte = 8 anni ≈ ciclo venusiano completo.
L’iconografia a otto punte non è quindi un capriccio estetico, ma una metafora geometrica del moto apparente del pianeta della dea—visibile come “stella del mattino” (Phosphoros, in tradizione greca) e “stella della sera” (Hesperos). La doppia natura amor/armi di Ishtar trova qui una risonanza: Venere appare e scompare, muore e rinasce all’orizzonte, come Inanna nella Discesa agli Inferi.
Oltre al piano astronomico, l’otto ha un valore spaziale: le quattro direzioni cardinali più le quattro intercardinali. La stella è dunque anche un compasso sacro: segnala il dominio della dea sullo spazio ordinato. Non a caso: La stella compare su elmi, pendagli, sigilli di funzionari e guerrieri: è protezione e legittimazione.
In iscrizioni regali, la menzione di Ishtar sancisce diritto di regno e vittoria in battaglia. Non solo dea dell’amore, quindi, ma garante di sovranità.
La stella, insomma, “firma” il potere. Per questo la troviamo alle soglie (porte, stipiti, architravi) e sui documenti che istituiscono proprietà, confini, donazioni: i kudurru la usano come marchio giuridico-cosmico.
Il mito sumerico più celebre, “La discesa di Inanna agli inferi”, racconta di una divinità che attraversa sette porte, spogliandosi a ogni passaggio di un attributo (corona, gioielli, vesti) finché non giunge nuda nel regno di Ereshkigal, dove muore e poi rinasce. È un racconto di iniziazione e rigenerazione. La stella a otto punte—un passo oltre le “sette” soglie—suggerisce la totalità e il compimento del ciclo.
Il potere della stella non è dunque statico; è dinamico: indica una sostanza capace di passare (tra giorno e notte, vita e morte, terra e cielo). Non stupisce che nei rituali Ishtar/Inanna sia invocata tanto per sedurre quanto per distruggere; la stella diventa il suo sigillo operativo.
Per orientarsi nel mare di reperti, ecco alcuni contesti tipici in cui la stella compare:
Sigilli cilindrici (III-I millennio a.C.): utilizzati per firmare documenti d’argilla. La stella appare spesso sospesa sopra scene di culto o processione.
Kudurru (stele di confine cassite/neo-babilonesi): pannelli di simboli divini; la stella identifica la sfera di Ishtar accanto a Luna e Sole.
Arredi e armi: pendagli, rosette, placche decorate con stella/rosetta su elmi e cinturoni, soprattutto in contesti assiri.
Architettura: Porta di Ishtar (Babilonia, via processionale): rosette smaltate azzurre e dorate, forma “floreale” a otto; non è la stella puntuta, ma il codice simbolico è lo stesso, traslato in motivo decorativo regale.
Tavolette astronomiche: non sempre mostrano la stella graficamente, ma la presuppongono nel lessico e nei rilievi figurati coevi.
I simboli non viaggiano soli: migrano con culti, commerci, imperi. La stella a otto punte:
Fenicia / Levante: in ambito cananeo la dea appare come Astarte (Ashtart). L’emblema può essere la stella o la rosetta, spesso associata a colombe e melograni.
Mondo greco: la funzione viene assorbita da Afrodite (Venere), e da Atena in chiave guerresca—mentre l’astro Venere resta un tema astronomico centrale. In età ellenistica la stella multipunta diventa motivo regale/dinastico (si pensi anche alla stella di Vergina macedone, però di 16 raggi e con altro contesto).
Mondo romano: l’iconografia di Venere (e della stella “matutina/vespertina”) continua; l’uso della stella multipunta entra nei mosaici e nelle arti minori come motivo apotropaico.
Eredità tardo-antica/medievale: l’otto resta numero “cristico” (ottavo giorno, rinascita battesimale), e la stella a otto viene talvolta adottata nell’arte cristiana per indicare la stella di Betlemme o la pienezza. È una continuità simbolica più che una genealogia diretta, ma mostra la resilienza del segno.
Un’osservazione importante: il moderno motivo “stella + crescente” ha storie molteplici (ellenistico-anatolica, bizantina, poi ottomana). A volte si suggerisce un legame remoto con Ishtar (stella = Venere; crescent = Luna), ma si tratta di analogie culturali, non di una linea retta documentabile. Meglio tenere separate le tradizioni, pur notando che l’archetipo astro-lunare è antico.
Spesso si chiede: è “più corretta” la stella a raggi o la rosetta a petali? La risposta breve: entrambi appartengono al repertorio ishtariano, ma cambiano materiale, epoca e contesto.
La stella a punte domina nei sigilli, nei kudurru, nelle incisioni; è più “astratta” e direttamente celeste.
La rosetta esplode nell’architettura e nella decorazione (mattone smaltato, intaglio), perché il modulo floreale si presta a ripetizione e policromia; è più “terrena”, legata a fertilità e bellezza, ma il rimando alla dea resta implicito.
Nel linguaggio visivo babilonese-assiro, le due forme dialogano: una dice “cielo e potere”, l’altra “vita e splendore”. Insieme definiscono la “firma” di Ishtar.
La scrittura cuneiforme usa determinativi—segni che non si leggono ma qualificano la parola. Davanti ai nomi divini compare il segno 𒀭 (DINGIR/AN), di forma stellata: è come scrivere «[divino] Ishtar», «[divino] Enki». Questo ha due effetti culturali:
Visuale: il lettore “vede” la stella prima ancora di decifrare il nome; l’occhio riconosce il sacro.
Semantico: “Dio = astrale”. La stella diventa un prefisso ontologico: ciò che sta in cielo ha un diverso statuto.
Questa grammatica grafica spiega perché simboli di Sole, Luna e Stella compaiano costantemente in cima alle stele: formano una triade celeste (Sin-Shamash-Ishtar) che riassume il calendario vivente della civiltà.
La guerra in Mesopotamia è istituzione teologica: si combatte “con il mandato degli dèi”. Ishtar, in particolare, è una forza bellica. Il suo emblema su elmi, finimenti, sigilli militari:
Legittima l’azione (diritto di punire i nemici).
Protegge (apotropaico).
Identifica (appartenenza a una città/templo dedicato alla dea).
Così la stella entra nella propaganda: rilievi assiri mostrano re che catturano leoni o sconfiggono nemici sotto costellazioni simboliche. La guerra è “sotto la stella di Ishtar”.
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12) Oltre il mito: una tecnologia del tempo
Ciò che colpisce, studiando la stella, non è tanto la mitologia in sé, quanto la tecnologia culturale che essa condensa. La stella è:
Calendario (Venere): permette di prevedere cicli stagionali, eventi agricoli, tempi rituali.
Bussola (otto direzioni): supporta orientamento topografico e simbolico.
Timbro (determinativo): struttura l’informazione scritta, gerarchizza i nomi, ordina la memoria.
In altri termini: la stella di Ishtar è strumento di governo del tempo e dello spazio. È per questo che sopravvive. Ogni società che necessita di ordinare cielo/terra trova in questa figura un pattern funzionale.
Dal culto alla cultura pop: perché la vediamo ancora la stella a otto oggi campeggia in loghi, bandiere municipali, design contemporaneo, tattoo. Raramente chi la usa pensa a Inanna/Ishtar; eppure l’eco rimane. Alcune ragioni della sua persistenza:
Simmetria perfetta: equilibrio visivo, armonia matematica.
Polisemia: può significare “stella”, “fiore”, “bussola”, “rinascita”.
Neutralità apparente: meno “carica” di croci o mezzelune; può passare per pura grafica pur veicolando profondità.
Quando, nell’arte o nella narrativa contemporanea, una stella a otto appare sopra una porta, un tempio o un volto femminile, spesso—consapevole o no—evoca l’antica potenza liminale di Ishtar: il passaggio (porta), la sovranità (corona), la rinascita (fiore), la guida (bussola).
Studiare simboli è anche esercizio di rigore. Alcune cautele utili:
Non tutto ciò che è a otto è automaticamente “Ishtar”: in contesti greci o cristiani l’otto può avere altre valenze.
Il legame con il moderno crescente + stella non è una linea diretta: meglio parlare di antichi archetipi astrali che riaffiorano in epoche diverse.
Rosetta ≠ margherita generica: in contesti babilonesi è spesso un chiaro rimando alla sfera ishtariana, ma va letta con l’insieme del pannello (leoni, iscrizioni, dedicanti).
Il metodo migliore resta contestuale: dove si trova il simbolo? Con quali altri segni? In che epoca? Su quale supporto? È così che l’archeologia “traduce” la stella.
Al netto di mitologie e fascinazioni, la stella di Ishtar ci consegna tre lezioni:
1. Conoscere il cielo cambia la terra. L’osservazione accurata di Venere ha generato calendari, riti, decisioni politiche. Il simbolo è la forma visibile di una competenza.
2. Il femminile come potenza sovrana. Inanna/Ishtar non è “dea gentile”: è una autorità che concede amore e scatena guerre, benedice i raccolti e guida gli eserciti. La stella ricorda una stagione antica in cui il divino femminile era centro di memoria collettiva.
3. I simboli sono tecnologie di memoria. Un segno sopravvive se “funziona”: se ordina, protegge, guida, unisce. L’otto di Ishtar funziona ancora.
Conclusione
La Stella di Ishtar non è solo un’icona elegante delle civiltà mesopotamiche: è un nodo che tiene insieme astronomia, religione, potere e arte. È un segno che ha permesso di leggere il cielo e governare la terra, di dare forma a imperi e di ornare muri, armi e testi. Nel suo profilo semplice—otto raggi, talvolta un cerchio—sta una delle grandi invenzioni visive dell’umanità: rendere intelligibile l’ordine del cosmo e trasferirlo nel mondo umano.
Per questo, quando la incontriamo su un mattone smaltato babilonese, su un sigillo sumerico o su una copertina moderna, la riconosciamo subito: non come “una stella qualunque”, ma come la stella. Quella che parla di una dea che amava e combatteva, che scendeva e risaliva, che guardava Venere e ne faceva legge. Quella che ancora oggi, silenziosa, indica direzioni.